GLI SCALZI CARCERE DI STATO DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Antico convento dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, adiacente alla Chiesa degli Scalzi, fu soppresso per decreto napoleonico e utilizzato come carcere dal 1883 al 1945. Con il fascismo divenne una vera e propria prigione di Stato. Dopo l'8 Settembre 43 numerosissimi furono i politici qui detenuti, tra cui 10 componenti del gruppo dell'avvocato Tommasi, considerato primo Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) provinciale di Verona di cui fece parte lo steoo prof. Dean che abbiamo incontrato al Ferraris. Furono poi detenuti anche i componenti del secondo CLN Provinciale con Francesco Viviani, Giuseppe De Ambrogi, Giovanni Domaschi, Guglielmo Bravo, Angelo Butturini, Vittore Bocchetta, che saranno tutti deportati in Germania: solo Bocchetta, deportato Flossenbürg, ritornerà dai lager nazisti.
Molti altri furono i prigionieri della RSI. Giovanni Roveda, figura centrale del sindacalismo italiano e bandiera dell'antifascismo, nel gennaio '44 fu portato sotto falso nome agli Scalzi, carcere considerato sicurissimo, perché da lì non era mai fuggito nessuno. Riuscì a evadere il 17 luglio ‘44 in seguito a un'azione dei GAP (gruppi di azione patriottica) in cui persero la vita Lorenzo Fava e Danilo Preto che avevano agito insieme a Aldo Petacchi, Berto Zampieri, Vittorio Ugolini e Emilio Moretto. Il direttore e le guardie iniziarono a sparare sui gappisti e sulla loro macchina e furono colpiti lo stesso Roveda, Moretto, Fava e Preto, costretti a scendere dalla macchina che non si metteva in moto per farla ripartire a spinta, sotto i proiettili. Scaricato Roveda in luogo sicuro, la macchina, guidata da Moretto, proseguiva verso Porto San Pancrazio, dove la nascose per andare a cercare soccorso per i suoi compagni. Ma al ritorno erano già stati catturati: Preto morì la stessa sera del 17 luglio, Fava, nonostante le ferite e le torture, riuscì a non parlare per circa un mese, si addossò la responsabilità di una serie di attentati avvenuti nel veronese e fu fucilato al Tiro a Segno Nazionale. Il suo corpo, sotterrato in maniera anonima nel cimitero di Verona, fu riesumato solo un anno dopo la Liberazione. Al Tiro a Segno Nazionale c'è una targa a ricordare la fine dei gerarchi fascisti, ma nulla alla memoria di Fava. Giovanni Roveda, dopo l’evasione tornò a Torino dove riprese la lotta partigiana e dopo la Liberazione fu il primo Sindaco di Torino. Questo episodio è senza dubbio il più importante della Resistenza Veronese, espressamente citato nelle motivazioni con cui il Presidente della Repubblica ha concesso la Medaglia d’oro al valor militare alla città di Verona.
Alcuni hanno sospettato che i partigiani avessero avuto un collaboratore all'interno del carcere: pare però che il prof. Dean, che in quei tempi era detenuto agli Scalzi per il ruolo di oppositore al fascismo, avesse consegnato alla moglie, in visita con il figlioletto appena nato, una mappa delle celle con l'indicazione di quella di Roveda. La donna fece arrivare la preziosa mappa ad Emilio Moretto, che insieme a Vittorio Ugolini e Danilo Preto, era stato studente del Ferraris solo pochi anni prima.
DOPO LA GUERRA
L'11 ottobre 44 il carcere ‘Agli Scalzi’ fu lesionato da un bombardamento inglese e i detenuti trasferiti, rimase in piedi soltanto la facciata. Nel 69 la Sovrintendenza dichiarò “trattasi di edificio per la maggior parte diroccato per ragioni belliche ed ormai quasi nullo di interesse artistico”, spianando la strada all'abbattimento e alla costruzione di un complesso di uffici.
Anche questa è un'occasione perduta di Verona per fare dei resti restaurati del carcere un Museo Memoriale della Resistenza.
Nel dopoguerra Roveda non è mai tornato a Verona. Bernardino Moretto, che -come sappiamo sempre dagli scritti del professor Dean era stato uno studente del Ferraris brillantissimo- è vissuto con alcune pallottole in corpo per tutta la vita. La moglie, Concetta Fiorio, partigiana, catturata dopo l’assalto agli Scalzi detenuta nelle casermette di Montorio e a lungo torturata, ha avuto due figli, Danilo (come Preto), nato con gravi disabilità a causa delle torture subite nonostante fosse prossima al parto e Lorenza (come Fava). Berto Zampieri si rifugiò dai coniugi Löwenthal, ebrei che si dettero poi la morte per sfuggire alla cattura, insieme alla figlia Brigitte che, fortunosamente sopravvissuta, sposò poi lo scultore partigiano. Solo molti anni dopo, su iniziativa dei sopravvissuti all’Assalto e di Gino Spiazzi, uno dei giovani partigiani uscito dal Ferraris sopravvissuto alla deportazione a Flossenbürg e per anni appassionato presidente della sezione Aned di Verona, nello spazio che separa la Chiesa degli Scalzi dal condominio è stata ricostruita parte del portale d'ingresso e posta una lapide: “Qui la sera del 17 luglio 1944 sei giovani Partigiani forzate le porte degli Scalzi trassero alla luce della lotta dal carcere fascista un compagno di fede e di ardimenti. Nella eroica impresa colpiti dal piombo dei tiranni Lorenzo Fava e Danilo Pretto caddero per risorgere araldi di libertà e di pace nel cielo della speranza”. Quasi di fronte all'ex carcere c'è un monumento, nel Largo dedicato a Monsignor Chiot, opera di Vittore Bocchetta, sopravvissuto a Flossenbürg, che ritrae questo ‘sacerdote dell'ascolto e del confortò. Sempre dello scultore Bocchetta, l'obelisco d'acciaio alto 7 metri che dal 25 aprile dell'88, in uno spazio tra la nuova costruzione e la chiesa, scandisce i nomi dei protagonisti dell’Assalto (originariamente monumento sonoro grazie al vento, è stato tacitato per ‘non disturbare’).
INFO
Indirizzo : Via Carmelitani Scalzi 20, 37122 Verona VR