Ennio viene consegnato direttamente ai nazisti, che lo portano al comando delle SS in Corso Vittorio Emanuele II, il palazzo ex INA, dove sarà detenuto e interrogato da un giovane ufficiale tedesco. Nei suoi racconti Ennio dice di aver riconosciuto in quell'ufficiale Erich Priebke, che aveva collaborato all'eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma e che fuggirà in Argentina: solo nel 1995 sarà rintracciato e riportato in Italia dove andrà a processo scontando l'ergastolo agli arresti domiciliari dal 1999. Non ci sono però certezze storiche sulla presenza a Verona di Erich Priebke in quel periodo.
Zeffirino, invece, finisce alle celle dell’Ufficio Politico Investigativo (UPI). In quei giorni si consuma il dramma del colonnello Giovanni Fincato, partigiano comandante della piazza di Verona. Arrestato il 29 settembre, sarà torturato a morte per due giorni: Zeffirino era nella cella dove fu scaricato a morire il colonnello e raccolse i suoi ultimi respiri. Secondo la testimonianza di Gioacchino Umana, vicebrigadiere dell’UPI e capocarceriere nelle celle del Teatro Romano, Giovanni Fincato, quando iniziò il suo interrogatorio disse ai carcerieri “qualunque cosa mi facciate non parlerò mai, fucilatemi pure: Righetti infuriato si avventò contro il colonnello ed iniziò quella serie di torture che dovevano portarlo in fin di vita. Fu torturato per ben tre o quattro volte dalla sua bocca però non uscirono parole che potessero compromettere la missione militare: Lembo gli strappò tutti i denti, Righetti scagliò contro di lui il tavolo e la macchina da scrivere della camera delle torture, sfondandogli il torace."
Quello che Ennio non immaginava era che il partigiano Uccello fosse un vicebrigadiere dell’Ufficio Politico Investigativo, infiltrato nella divisione Pasubio e poi nel battaglione Montanari per raccogliere le informazioni che ne avrebbero causato la cattura e l’annientamento.
Lo racconta sempre Gioacchino Umana. “Sergio Menin portò in montagna nella baita di comando del btg. Zambo il cap. Padelletti, Martinotto e due SS presentandoli al S. Ten. Silva come componenti del CLN”. E poi “in un’azione fatta con i patrioti del Carlo Montanari invece di chiedere a questi i nomi di battaglia volle sapere i loro nomi e cognomi, in modo che fu facile per l’UPI poter avere in mano tutto il Battaglione Montanari. Si iniziarono così a Verona gli arresti in massa, ben pochi furono i fortunati che poterono salvarsi con la fuga. Fra i partigiani nelle celle dell’UPI ci fu anche Francesco Chesta, torturato a sangue da Lembo e Panfini".
A pochi metri di distanza osserviamo Ponte Pietra, uno di quelli che i ragazzi del Battaglione Montanari avrebbero voluto salvare. Basta osservarlo per capire come andò a finire: nonostante il lavoro di restauro concluso nel 1959 parte delle arcate sono in mattoni, e le rapide a valle del ponte, a dimostrazione che il 26 aprile del 1945 questo, insieme a tutti gli altri ponti sull'Adige fu fatto saltare dai tedeschi in fuga per rallentare l'avanzata degli alleati: fu l'ultimo affronto degli occupanti alla città di Verona.
Oggi la palazzina che ospitava le celle dell'Ufficio Politico Investigativo, i cui uffici si trovavano in Via Ponte Pignolo, a poche centinaia di metri di distanza, è un elegante edificio residenziale: solo una lapide sul muro ricorda quegli anni bui.
La lapide posata dal Comune di Verona nel 1965
Prima pagina della lunga deposizione resa dal vice brigadiere Gioacchino Umana in cui ricostruisce le vicende all'interno delle celle dell'U. P. I., di cui era responsabile.
L'originale si trova all'Archivio di Stato di Verona.
Dopo la Liberazione, Umana e altri 16 componenti dell'U. P. I. andarono a processo per i crimini commessi nella repressione della Resistenza veronese. Processo che si concluse con 9 condanne a morte, poi cancellate dall'amnistia del 1946.
INFO
Indirizzo : Piazza Martiri della Libertà, 37129 Verona VR